Negli ultimi anni molti ricercatori hanno documentato un eccesso di mortalità fra i pazienti affetti da patologie coronariche
La Sindrome da Iperincrezione di CRH
Negli ultimi anni molti ricercatori hanno documentato un eccesso di mortalità fra i pazienti affetti da patologie coronariche acute che presentavano anche sintomi depressivi. Il rischio di mortalità, indipendente da altri fattori, risulta mediamente aumentato di 3-4 volteone rappresenta un fattore di rischio più rilevante di fumo, o ha portato ad approfondire sia le problematiche di ordine psicologico legato alle patologie coronariche acute, che le caratteristiche biologiche della depressione che si presentava in comorbidDepressione Maggiore durante il ricovero per infarto o sindrome coronarica acuta. In realtà sin dai primi studi si è visto che era estremamente difficile fare diagnosi di Depressione Maggiore perché i criteri temporali non erano rispettati. La depressione era più lieve, di insorgenza più rapida e tendeva alla guarigione spontanea, diversamente dalla Depressione Maggiore. era evidente il dato che questa depressione atipica era però associata certamente ad un aumento di mortalità. In effetti, la presenza di storia di Depressione Maggiore o di sintomi di particolare gravità aggravavano notevolmente la prognosi, ma anche quadri che normalmente non avrebbero in alcun modo potuto essere classificati come Depressione Maggiore avevano una prognosi molto severa. La prevalenza rilevata dei disturbi depressivi varia fra il 20% e il 40% dei pazienti ospedalizzati per patologia coronarica acuta.
Già Freasure Smith nel 1993 ha dovuto ricorrere ad artifici per poter classificare come Depressione Maggiore la sintomatologia depressiva che si presentava nei pazienti infartuati, riducendo a meno delle due settimane previste dal DSM III R il tempo minimo di persistenza dei sintomento di complicazione venne ai ricercatori dalla scarsa adattabilità di strumenti di rilevazione di tipo clinico obiettivo (ad es. HAM-D) che risultavano scarsamente correlabili con l’aumento del rischio e invece dall’ottima adattabilità di strumenti di rilevazione che descrivono la sintomatologia soggettiva (BDI) che, se pur visti con perplessità dai ricercatori più tradizionali, erano perfettamente correlabili alla dimensione della sintomatologia depressiva e all’aumento del rischio di mortalità. Andava perciò ripensato il concetto stesso di depressione e si andò definendo il concetto di depressione sottosoglia, ovvero una depressione che meritasse una diagnosi propria, anche se in presenza di sintomi sfumati o transitori. Tale concetto però era difficilmente compatibile con la mancanza di una reale soglia di patologia. Numerosi studi clinici importanti hanno messo in evidenza che anche sintomi minimi di depressione erano associati ad un aumento di mortalità. La sintomatologia depressiva rilevante risultò quella concomitante al ricovero.ntomatologia depressiva rilevata nei mesi successivi non è associata in maniera significativa ad aumento di mortalità. La depressione così detta reattiva che insorge nei mesi successivi alla sindrome coronarica acuta, a marcata componente psicologica, è in sostanza irrilevante per la mortalità. Si è andato chiarendo il fenomeno che la sintomatologia depressiva ad insorgenza precoce rappresenta un fattore di rischio a dimensione continua come lai studi di tipo epidemiologico sul rischio di sviluppare malattia coronarica in pazienti sani mettono in evidenza la dimensione continua e senza soglie del rischio associato alla depressione.
In realtà però ancor oggi, pur prendendo in considerazione l’ipotesi di un fattore biologico comune alla depressione e all’aumento di mortalità, la depressione maggiore rimane il meccanismo di ordine patologico più considerato negli studi clinici sull’eccesso di mortalità. Glassman nel suo rilevante studio del 2002 affronta con la massima determinazione questo problema con la finalità di selezionare solo ed unicamente i pazienti con depressione maggiore in comorbidità alla malattia coronarica acuta, al fine di valutare sicurezza ed efficacia della Sertralina. Si trova di fronte però ad una problematica di notevole rilievo. A fronte di una casistica selezionata di 11.500 pazienti valutati, questi si riducevano a 3.355 eliminando quelli affetti da altre patologie rilevanti, a soli 556 che soddisfacevano la diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore (DSM IV). Per garantire una sicurezza diagnostica Glassman sottopone ad un trattamento in mono cieco con placebo questi pazienti per quindici giorni e poi li rivaluta per i criteri di Disturbo Depressivo Maggiore (DSM IV). Può randomizzare solo 369 pazienti con una perdita ulteriore del 34% dei soggetti, riesce cioè a includere nello studio il 3.2% dei pazienti eleggibili inizialmente e riesce ad iniziare una terapia specifica solo 34 giorni dopo la malattia coronarica acuta. Ciò testimonia la rapida insorgenza e la tendenza alla guarigione spontanea della depressione in comorbidità con patologia coronarica acuta e la scarsa applicabilità dei criteri diagnostici per il Disturbo Depressivo Maggiore (DSM IV). Ciò conferma che la diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore, correttamente eseguita secondo le specifiche, coglie solo una piccola parte della condizione depressiva legata alla patologia coronarica acuta. Glassman trova inoltre molta difficoltà a descrivere l’efficacia del farmaco basandosi sulla scala HAM-D e deve ricorrere a molti artifici per dimostrane tutto il potenziale antidepressivo. e di supporto sociale hanno mostrato che modificazioni di questi parametri hanno una rilevanza unicamente nel controllo della sintomatologia depressiva dei pazienti meno gravi, senza in alcun modo modificare la prognosi della mortalità o il decorso dei pazienti con sintomi depressivi severi. Unicamente la classe marginale dei pazienti che godevano di un estremo supporto sociale mostrava un qualche miglioramento della prognosi
Il modello basato su di una rigida diagnosi di Depressione Maggiore così come quello basato su aspetti psicologici
hanno dimostrato la loro sostanziale inapplicabilità. La Depressione associata a malattia coronarica acuta può essere definita come sintomatologia soggettiva e non come entità nosografica. La Depressione Maggiore è solo un evento che può complicare la condizione depressiva. Di fronte a questa disarmante conclusione andava ripensata la catena di eventi che porta all’eccesso di mortalità. Un elemento rilevante per la comprensione del fenomeno ci è offerto dagli studi che hanno valutato la popolazione dei soggetti che assumono antidepressivi e il rischio che sviluppino una malattia coronarica. Nessun tipo di antidepressivo ha mostrato di essere in grado di prevenire un infart17iò rende difficile considerare la depressione un meccanismo causale della malattia coronarica, ma il rischio per i pazienti depressi in trattamento con serotoninergici che si sarebbe atteso maggiore, diventa sovrapponibile a quello della popolazione dei non depressi.
Al contrario gli studi effettuati sui pazienti infartuati che assumevano SSRI hanno mostrato che questi farmaci sono protettivi rispetto ad un reinfartoCiò fa ritenere che lo stress conseguente alla patologia coronarica acuta è implicato nell’aumento del rischio successivo al primo infarto e che il meccanismo coinvolto agisca assai precocemente in relazione allo stress acuto. Per tale medesimo motivo appare comprensibile che i risultati ottenuti da Glassman siano solo modestamente indicativi di un effetto protettivo, in quanto la somministrazione iniziata ben 34 giorni dopo l’evento coronarico acuto ha compromesso le potenzialità della terapia con SSRI.
La depressione, o meglio la sintomatologia depressiva soggettiva anche minima, deve essere in relazione con un fattore biologico intermedio capace di determinarla e capace al contempo di aumentare il rischio di mortalità. La condizione può essere definita come una disreattività psicofisiologica, associata allo stress acuto della malattia coronarica, che può aggravare la prognosi della malattia stessa. La frequenza delle morti di tipo aritmico e la frequente riduzione della HRV in questi soggetti fa ipotizzare un’implicazione dei meccanismi di regolazione del tono adrenergico. L’ipotesi che appare più interessante è che si debba considerare l’iperincrezione di CRH come fattore biologico intermedio tra malattia coronarica acuta e eccesso di mortalità e sintomatologia depressiva. Questo possiede appunto le caratteristiche di essere un elemento chiave nella regolazione della risposta allo stress, di avere una specifica azione nel favorire l’insorgenza di sintomatologia ansiosa o depressiva, di aumentare arousal e vigilanza, di aumentare pressione arteriosa e frequenza cardiaca e di avere inoltre una dimostrata azione proinfiammadurante la depressione è un fenomeno noto da tempo ma la sua variabilità non aveva ancora consentito di individuare un modello biologico affidabile. Studi recenti hanno ipotizzato una relazione specifica tra NE ACTH e CRH, facilmente verificabile. In sostanza il CRH sarebbe controllato dall’asse HPA con un meccanismo di feed back all’aumento della NE e del Cortisolo. La normale risposta allo stress comporta un proporzionale aumento di ACTH e NE e un corrispondente blocco della produzione di CRH. La risposta patologica associata a sintomatologia depressiva è invece caratterizzata da una produzione aumentata ed anomala di CRH, da un aumento della NE e da un ACTH troppo basso rispetto all’aumento del CRH e non proporzionale al livello di Cortisolo. Questo pattern specifico è svincolato dal controllo dell’asse HPA. Gli unici farmaci capaci di ripristinare questo controllo sono gli SSRI, anche se esistono farmaci specifici per controllare il livello di CRH (glucocorticoidi).Propongo di definire questa sindrome come Sindrome da Iperincrezione di CRH.
Questo modello è compatibile con la dinamica lineare della sintomatologia depressiva, con l’insorgenza precoce in relazione allo stress, con l’altrettanto rapida evoluzione verso la guarigione spontanea, con l’aumento del tono adrenergico, con l’implicazione dei meccanismi precoci di riparazione e in definitiva con l’eccesso di mortalità. La depressione viene quindi considerata un sintomo e non come una malattia. La sua manifestazione è associata all’aumento di mortalità, non necessariamente ne è la causa. La Depressione Maggiore è solo una possibile complicanza di questa condizione.
L’ipotesi che la prognosi sfavorevole associata alla sintomatologia depressiva sia mediata dall’attivazione piastrinica non è compatibile con il particolare andamento temporale per cui la condizione depressiva rilevante è solo quella che si verifica nelle fasi acute della patologia coronarica, durante la fase di attivazione da stress, e non è invece significativa anche solo dopo poche settimane, indicando che i processi fisiopatologici interessati hanno una valenza determinante solo nelle fasi riparative del post infarto. La sintomatologia depressiva rilevata successivamente alla fase acuta non influenza la prognosi e diviene quindi impossibile invocare un fattore cronico come l’attivazione piastrinica per giustificare l’eccesso di mortalità associata alla depressione precoce che si può verificare anche a distanza di molto tempo dall’evento depressivo.
La diagnosi della Sindrome da Iperincrezione di CRH presenta caratteristiche sostanzialmente dissimili dalla diagnosi di depressione. Si tratta, infatti, di un’alterazione biologica complessa del sistema cardiocircolatorio che presenta una sintomatologia depressiva e un rischio di mortalità aumentato. Questa alterazione è in relazione con lo stress della malattia coronarica acuta ed è verosimilmente legata ad una disreattività psicofisiologica e ad una modificazione del tono adrenergico. Si determina quindi uno spettro di risposta allo stress, per cui soggetti meno reattivi hanno una prognosi più favorevole e in cui la sintomatologia depressiva è un sensibile indicatore di gravità, utile per definire la prognosi.
La Sindrome da Iperincrezione di CRH
1. Consiste in una disfunzione sistemica correlata allo stress della malattia coronarica acuta. 2. Manifestazioni
• Aumento dell’increzione del CRH, svincolato dall’asse Ipotalamo – Ipofisi – Surrene.
• Presenza di sintomatologia depressiva.
• Aumento della mortalità per morte aritmica.
3. Non è spiegabile da meccanismi di tipo comportamentale. 4. È verosimilmente legata ad una disreattività psicofisiologica e ad una modificazione del tono adrenergico.
La Sindrome da Iperincrezione di CRH non complicata. 1. Condizione transitoria, che tende alla guarigione spontanea. 2. La relazione tra sintomatologia depressiva e mortalità ha un andamento sostanzialmente lineare (a più alti punteggi di depressione corrisponde un aumento del rischio relativo). 3. Risente di un intervento di supporto sociale e psicoterapeutico per la diminuzione della sintomatologia depressiva, ma ciò non diminuisce il rischio di mortalità.
La Sindrome da Iperincrezione di CRH complicata da Depressione Maggiore. 1. È spesso associata a storia di DDM. 2. La relazione tra depressione e mortalità ha un andamento amplificato e stabile (punteggi basali mediamente più alti, rischio molto aumentato). 3. Non è suscettibile di miglioramento sintomatologico con interventi di supporto psicologico. 4. Ha un andamento tendente alla cronicità.
Il trattamento della condizione depressiva rimane imperativo e la sua precocità è determinante. Sembra esistere una relazione tra malattia coronarica acuta, meccanismi riparativi precoci e trattamento con SSRI. Non è corretto affrontare il problema della terapia solo con l’obiettivo di controllare i sintomi depressivi. Gli SSRI hanno una funzione di controllo della risposta allo stress, ripristinando il normale funzionamento dell’asse Ipotalamo – Ipofisi – Surrene, e possiedono una azione protettiva rispetto al reinfarto, a condizione che la loro somministrazione avvenga nelle fasi precoci dopo l’esposizione allo stress acuto della malattia coronarica. Obiettivo sono quindi anche la riduzione della risposta psicofisiologica da stress e la protezione dalla Depressione Maggiore.
Scopi del trattamento con SSRI
• Controllo della sintomatologia depressiva.
• Ripristino del normale funzionamento dell’asse Ipotalamo – Ipofisi – Surrene.
• Riduzione della risposta psicofisiologica depressiva.
• Protezione dalla Depressione Maggiore.
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