In questi ultimi giorni si è appreso che l’Agenzia italiana del farmaco ha approvato l’immissione in commercio di due farmaci che sono indicati per il trattamento della Sindrome da deficit di attenzione e iperattività o Adhd, come viene chiamata in inglese. Inoltre, è stato estesa la possibilità di utilizzo del famoso Prozac, anche a bambini dagli otto anni di età, anziché ai maggiori di quattordici anni come era indicato precedenza. Queste due notizie ci fanno pensare con tristezza, ad una parte dei bambini italiani come iperattivi e infelici. Basta un farmaco per risolvere tutto? Da dove nasce l’aumento di queste patologie nei bambini di molti paesi ad alto grado di civilizzazione? Quali saranno i criteri di somministrazione di tali farmaci, visto che tali patologie sono di difficile inquadramento anche per i medici più attenti? Senza voler approfondire ulteriormente la questione etica di utilizzo di tali farmaci, vorrei proporre una riflessione a partire dal disagio che questi bambini esprimono attraverso i loro sintomi, in un’ottica che prenda in considerazione le dimensioni socio-affettive in cui vengono al mondo e crescono. Cominciamo dal pensare alla nozione del tempo così come è proposta ai bambini fin dal loro concepimento. Nel linguaggio comune si usano abitualmente modi di dire che utilizzano una dimensione temporale: “Aspetto un bambino”, “il tempo scade il giorno X”, oppure ci si riferisce a madri di età superiore alla media definendole “madri attempate” o “primipare tardive”; per notare poi che esistono test di gravidanza che danno una risposta “sicura” già due/tre giorni prima dell’effettiva mancanza delle mestruazioni. Per il parto, ci aspettiamo contrazioni “a tempo”: chi non ha pensato a guardare attentamente l’orologio durante le contrazioni ed essere concentrato sulle lancette piuttosto che sulle sensazioni che il corpo invia, in maniera tale da arrivare “in tempo” all’ospedale? E quando il bambino è nato, ecco arrivare il fatidico dubbio sull’allattamento: il latte va dato a richiesta o ad orario? E la durata dell’allattamento? Quando iniziare lo svezzamento? Quando “togliere” la poppa? Eppure l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dà indicazioni precise e non equivocabili in merito: lo svezzamento è indicato a partire dal sesto mese compiuto ed è da intendersi come proposta complementare al latte materno, non sostitutiva. Inoltre, se mamma e bambino lo desiderano, l’allattamento potrà protrarsi oltre il secondo
anno di vita, senza specificare la data dell’ultima poppata. Questo per una ragione molto semplice: non esiste una data prefissata valida per tutti, né ha senso porsi la questione in questi termini. Ogni relazione d’allattamento è una relazione d’amore che ha aspetti intimi e familiari non scindibili dall’individualità delle persone che la compongono. Pensiamo poi al tempo che i bambini, anche piccolissimi passano agli asili: tempo lungo o tempo corto? Tempo pieno o parziale? Certo i genitori spesso devono lavorare e su questo non si discute, ma quanti asili danno effettiva importanza a queste dimensioni? Quante istituzioni danno la possibilità di creare spazi in cui si tenga conto delle esigenze del bambino nei termini di spazio e tempo? Veniamo adesso alla questione sonno. Quanto dovrebbero dormire i bambini? A che ora devono addormentarsi? Il settimo libro venduto in Italia consultando le classifiche relative all’anno 2006, è un noto e discutibile libro che propone un metodo per far dormire i bambini, basato sul tempo, come se questi fossero programmabili, alla stregua del famoso cane degli esperimenti di Pavlov. I genitori dovrebbero assentarsi dalla camera del bambino piangente per intervalli di tempo via, via crescenti, finché non impara a dormire (o forse, impara che le sue sensazioni non contano e si rassegna sperimentando solitudine e angoscia silenziosa). Eppure è il settimo libro venduto in Italia, dato che fa pensare che molti genitori, pensino di dovere imparare come far dormire i propri bambini da un libro, piuttosto che trovare il proprio unico modo, fatto magari di riti e modalità costruite insieme, nel rispetto delle reciproche esigenze e caratteristiche di personalità. Cosa dire poi dello spazio che proponiamo ai nostri piccoli? Rimanendo sul tema del sonno: dove devono dormire i bambini? Lettone sì o lettone no? Per quanto riguarda lo svezzamento, pensate alla distanza che c’è improvvisamente tra il bambino e il cibo che gli viene proposto. Prima era un’alimentazione basata sul contatto fisico, adesso la madre o chi per lei, sta a distanza minima di un seggiolone, quasi mai seduta, spesso in piedi, cioè più alta del bambino e il mezzo diventa un cucchiaino, che fornisce cibo ad intermittenza, spesso costringendo ad un tempo di attesa insopportabile, per bambini che erano abituati a succhiare dal seno o a bere dal biberon, latte a temperatura e flusso costanti. Un altro esempio potrebbe essere quello del box o del girello. Il primo sostanzialmente inutile e sostituibile da tappeti e cuscini, che non limitino la spazio di azione del bambino, il secondo anche potenzialmente dannoso, se utilizzato in maniera eccessiva, in quanto mette il bambino nelle condizioni di raggiungere più velocemente oggetti, che altrimenti avrebbe
conquistato con tempi e spazi differenti, oltre ad interferire con l’acquisizione della posizione eretta. A questo punto della nostra riflessione la domanda è la seguente: quale tempo e spazio diamo ai bambini? E quale è l’unità di misura a cui ci riferiamo: la nostra di adulti o quella dei bambini? Questa è a mio parere, la maniera giusta di porre la questione. Vediamo come. Penso che sia necessario gettare almeno un ponte tra i due metri di giudizio. Per un bambino, ad esempio, la notte ha una durata infinita e ci vorrà molto tempo perché egli associ all’addormentamento, il successivo risveglio. Il tempo e lo spazio dei bambini sono estremamente diversi da quelli degli adulti. Ed ogni bambino, come ogni adulto, ha tempi personali differenti da quelli degli altri. Non a caso noi adulti ci lamentiamo di come non abbiamo mai tempo, del caos e del traffico delle città in cui viviamo, ed è noto come le malattie cardiovascolari associate a stili di vita frenetici, siano in aumento. E allora cosa fare? Forse si potrebbe cominciare a considerare lo spazio e il tempo come amici da rispettare e ricercare insieme ai nostri bambini. Forse si potrebbe considerare la nascita di un bambino come un’occasione imperdibile di rivedere il rapporto che abbiamo con queste dimensioni, cercando di sfruttare la creatività che la natura ci mette davanti. I bambini ci riportano ad una dimensione di flessibilità che spesso non cogliamo, cercando metodi rigidi che velocizzino la relazione con loro: come possono loro imparare ad aspettare e cercare i propri equilibri, se non glielo permettiamo? A mio avviso, ogni bambino che nasce porta un messaggio con sé: aspettami, dammi spazio (prima nel tuo corpo, poi fuori), ascoltami nella mia crescita, guardami, gioca con me, ancora meglio se all’aria aperta, troviamo insieme spazi e tempi che soddisfino tutti. Ma questo non è semplice, è sicuramente più facile proporre e imparare metodi uguali per tutti, salvo che poi è possibile che le conseguenze si facciano sentire. Il tempo e lo spazio non possono avere regole rigide in quanto sono mutevoli per natura. Pensate che in questo momento ognuno di noi è su un pianeta che percepiamo fermo e che, invece, si sta muovendo! Voglio dire che la vera difficoltà, mi pare quella di accettare e ricercare momenti di lentezza che non significano per forza ozio o perdita di tempo, ma che rappresentano occasioni di creatività, ascolto, osservazione, accoglienza e divenire. Siamo spesso parte di un vortice di attività frenetiche che spesso ci lasciano spossati, senza energie per noi stessi e per i nostri figli. Non stupisce quindi, che anche i bambini, possano andare in tilt, o avere difficoltà di relazione e concentrazione, e neanche che sia stata istituita recentemente nel nostro paese, la giornata della lentezza! L’invito è quello di
cercare di riflettere in maniera costruttiva sull’esempio che proponiamo ai nostri figli e sui valori semplici come quelli di tempo e spazio che vogliamo trasmettergli, prima di comprare un libro o di consultare un esperto, forse ancora prima di diventare genitori. Se è difficile per noi ritagliarsi attimi di ascolto e di intimità, forse è difficile anche per loro muoversi in spazi e tempi non a misura di bambino, ma concepiti da adulti frettolosi e non attenti al recupero della semplicità che questo messaggio porta con sé. *Psicologa perinatale
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